Quel nero portato a lutto dalle pie donne, quel suono di tromba lamentosa quasi a voler riecheggiare il singhiozzo accorato della Madonna che percorre le strade della città alla ricerca del Figlio.
Nella “Perla dello Ionio” è il giorno più atteso dell’anno: il Venerdì dell’Addolorata anticipa e sublima l’intensità di tradizioni e rituali pronti ad inaugurare la suggestiva “Settimana Santa” gallipolina.
Digiuno mattutino, legumi a pranzo e spaghetti alla pizzaiola per cena. Perché anche la tavola esige e pretende rispetto. Le lancette dell’orologio della cattedrale segnano mezzogiorno quando la folla attende sul sagrato di Sant’Agata l’arrivo della Vergine Maria, vestita con l’abito di seta nero ricamato di oro. E i suoi lunghi capelli, d’un riccio morbido e vellutato, un tempo sul capo d’una ragazza malata, sono veri, verissimi.
La statua, portata a spalla dai devoti, dopo che l’orchestra e il coro di voci bianche hanno intonato con penetrazione ascetica lo “Stabat Mater”, approda in serata sui bastioni che sovrastano il porto. E’ il toccante momento della “benedizione del mare” con le sirene dei pescherecci all’ancora che plorano lamentosi, come richiesta di continuo soccorso e protezione. L’Addolorata rivolta verso le acque, mentre il sacerdote le benedice.
La gente di Gallipoli si porta dietro quell’immagine struggente, fino a quando il rauco sussulto del tamburo rullante si spande per i barocchi vicoli del centro storico ed entra per le socchiuse porte dei palazzi antichi dal perenne profumo di salsedine.